FRA ANKARA E EREVAN RIPARTE IL DIALOGO

C’è un confine gelato, ai confini dell’Europa, che da questa mattina apparirà un po’ meno freddo. E, soprattutto, libero. E’ quello fra Turchia e Armenia.

In Svizzera, paese che molto si è speso in un lungo e sfibrante negoziato, sotto gli auspici del segretario di Stato americano Hillary Clinton, i ministri degli Esteri di Ankara e Erevan firmeranno un protocollo d’ intesa che sancirà di fatto la pace.

Un accordo storico. Che porterà subito a due risultati concreti: il riavvio delle relazioni diplomatiche tra le due capitali, e l’apertura della frontiera chiusa dal 1993, dallo scoppio della guerra fra l’Armenia e il turcofono Azerbaigian.

E’ un confine dai contenuti altamente simbolici. Perché nell’ipotesi di un eventuale ingresso della Turchia in Europa, il suo percorso potrebbe significare la linea di demarcazione tra il Vecchio continente e l’ Asia. E perché contiene elementi di grande fascino letterario.

Non a caso qui, nella città di frontiera di Kars, il premio Nobel per la letteratura turco Orhan Pamuk ha ambientato “Neve“, il suo romanzo più politico. Nell’atmosfera ovattata di Kars sono raffigurate al meglio le contraddizioni della Turchia interna.

E un paesaggio straordinario fa da sfondo alla lotta sotterranea tra gli estremisti islamici e i docenti laici dell’Università sul problema del velo, mentre i servizi segreti trescano sulla questione armena. Ma questa volta va dato atto al governo di Ankara di essere stato il primo ad aver teso la mano agli avversari.

E il capo dello Stato, Abdullah Gul, si è dimostrato lungimirante e lesto nello sfruttare l’occasione casuale degli incontri di qualificazione per i Mondiali di calcio, che hanno proposto nello stesso girone le due Nazionali.

Così, lo scorso anno, alla partita di andata, il presidente armeno Serge Sarkisian ha accolto Gul a Erevan accettando un dialogo che, da quel momento, pur tra difficoltà e nonostante i freni degli estremisti di entrambi i fronti, non si è più fermato.

Mercoledì prossimo sarà la volta del capo di Stato armeno di andare a Istanbul per rappresentare la sua squadra nel match di ritorno.

Non tutto è filato sempre liscio. I nazionalisti in Turchia da una parte, e la diaspora armena dall’altra, cioè i poli estremi e più duri dei due schieramenti, osteggiano la delicata intesa.

La contestazione verte soprattutto sull’intricata questione del genocidio, i massacri compiuti a partire dal 1915, nella fase agonizzante dell’Impero ottomano, dal governo dei Giovani turchi sulla popolazione armena.

Un eccidio che vasti settori di Ankara non ammettono come tale, e che in Armenia e altrove si pretende invece sia riconosciuto pienamente. Altri due problemi appaiono in vista. Il protocollo prevede l’ istituzione di una commissione mista di storici che giudichi le responsabilità del genocidio.

La proposta però non soddisfa chi teme il rischio di eventuali ammorbidimenti, e molti a Erevan preferiscono piuttosto un’ ammissione politica di Ankara.

Poi c’ è la questione del Nagorno-Karabakh, la regione armena situata all’interno dell’Azerbaigian dove si combatté la guerra del 1993, dalla quale l’Armenia non intende per ora ritirare le truppe.

Molta strada, tuttavia, è stata già fatta sul sentiero della pace. La diplomazia del pallone ha avviato il dialogo diplomatico. La Turchia ha riaperto il monumento armeno di Aktamar.

E molti continuano a ricordare con commozione l’ impegno profuso da Hrant Dink, il direttore del giornale turco-armeno Agos, ucciso nel 2007 a Istanbul da un killer nazionalista proveniente da Trebisonda, la città sul Mar Nero dove l’ anno prima fu trucidato il sacerdote italiano Andrea Santoro.

A Kars, in questi giorni, la neve ha cominciato a cadere. Ma quel confine,
a tutti, sembra oggi più limpido.

(10 ottobre 2009)