KAYSERI – Veli e yogurt. Però liquido e salato. Buono. Ma di una birra nemmeno l’ ombra nell’afa di giugno della piana anatolica. Alcol zero.
E nel parco di Kayseri, sotto la cupola della moschea costruita dal grande architetto Sinan, sulle teste delle donne solo turbanti colorati di ogni genere e foggia. Benvenuti nell’antica Cesarea, al centro dell’Anatolia.
Oggi è questa la punta di diamante del partito islamico moderato, da quasi dieci anni al potere. La città più religiosa, e al tempo stesso la più dinamica della Turchia. Minareti e mobili per arredo. Contratti e preghiere.
I commercianti, asserragliati dietro il banco del negozio per 12 ore al giorno, sgranano nelle mani il tespih, il rosario musulmano, aprono la calcolatrice e sparano il prezzo. Basso, ovviamente. E soprattutto onesto.
Perché è vero che l’ economia qui vola. Ma è la religione il vero collante sociale. E Kayseri, città pia, che ha dato i natali all’attuale capo dello Stato, Abdullah Gul, è pronta a votare compatta per il partito fondato dai suoi due dioscuri: il presidente della Repubblica, appunto, e il primo ministro Tayyip Erdogan.
Domenica si vota. E il partito islamico si prepara per la terza volta nella sua breve storia a fare il pieno di consensi. La leonessa dell’Anatolia è la protagonista di una rivoluzione sociale di cui adesso si coglie il significato.
Al centro di un triangolo virtuoso, che traccia i suoi lati fino a Konya, patria dei Dervisci rotanti, e a Yozgat, sede di importanti industrie agroalimentari, nel giro di pochi anni Kayseri è riuscita a formare una nuova borghesia islamica.
Un gruppo che si riconosce nell’affabile e devoto Gul, prototipo di questa inedita élite conservatrice. Com’è quella espressa dal partito Giustizia e sviluppo, cioè Akp, acronimo che i suoi corifei ribattezzano in Ak parti, ossia partito bianco, pulito, lindo. Che porta orgogliosamente come simbolo una lampadina accesa.
Ma i suoi messaggeri in Anatolia sono uomini che vestono di nero, scuri di pelle, così diversi dai “turchi bianchi” della costa e delle grandi metropoli occidentali come Istanbul e Smirne, dagli occhi azzurri come quelli del fondatore della Repubblica, Ataturk, e dai capelli biondi sfoggiati dalle signore della società bene.
Questi ultimi, che voteranno in buon parte per il partito socialdemocratico e per quello nazionalista, rappresentano gli sconfitti. Sono la classe benestante e colta di un tempo, quella che mandava i figli a studiare nei collegi francesi e nelle università americane.
Ma ora sono i figli di Gul e di Erdogan a frequentare i campus di Boston. E lo sconvolgimento sociale rappresentato dalle cento città anatoliche alla guida dell’economia nazionale si allarga dalla politica alla finanza, dal commercio alla cultura.
E’ la rivoluzione di una nuova classe al potere, laboriosa, silenziosa, che non chiede più ma si impone nelle leve decisionali, nella diplomazia, nella scuola, nella giustizia, sostituendosi ai partiti tradizionali e ai militari protagonisti da mezzo secolo.
Persino la stampa, così bistrattata e sotto schiaffo a livello nazionale, qui fiorisce. E nelle edicole fanno bella mostra di sé non meno di 20, in numero, quotidiani locali, solo per la provincia di Kayseri.
La capitale anatolica del nuovo capitalismo islamico è ben lontana dai lussi e dagli splendori di Istanbul. Ma è una città ben organizzata, con un centro ordinato e pulito, e zeppa di ristorantini che servono la specialità locale, i manti, ravioli conditi con lo yogurt.
All’ombra della moschea centrale una moderna tramvia rossa, silenziosa ed efficiente, scorre sui binari inserendosi perfettamente nel tessuto urbanistico che prevede ampi spazi di verde.
Alcune aziende italiane hanno colto al volo il potenziale di crescita dell’Anatolia, e sono pronte a sbarcare alla ricerca di lucrosi contratti. Ma ora gli interlocutori sono diversi.
E occorre tenere conto del potere nelle mani delle confraternite religiose. Come quella dei Nakshibendi, di cui Gul fa parte. Congreghe compatte nell’affidarsi a Giustizia e sviluppo. Uomini pii e però abilissimi nel fare di conto.
Nel parco di Kayseri le teste velate delle donne sono almeno due su tre, e l’alcol una chimera. Ma l’ antica Cesarea, che conserva intatto il castello costruito dai Romani, si è trasformata da sperduta cittadina di retroguardia nella città simbolo della riscossa musulmana.
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(11 giugno 2011)