Dalla rivista La Città
“Ma da dove è saltato fuori questo Tasca?”. Erano in tanti, lo scorso maggio, a domandarsi dove mai il Papa avesse scovato il nuovo arcivescovo di Genova. Un punto interrogativo sotto la Lanterna, mentre si compulsavano freneticamente le pagine web per capire il profilo del prescelto.
Pure in Vaticano, però, dove padre Marco Tasca, 63 anni, veneto della provincia di Padova, un passato rilevante come Ministro generale dell’Ordine dei Francescani minori conventuali, non era troppo conosciuto se non agli osservatori più esperti di cose ecclesiastiche.
Eppure, a leggere il curriculum dell’arcivescovo metropolita successore di Angelo Bagnasco, si scoprivano foto del frate veneto assieme a Jorge Mario Bergoglio mentre celebravano messa insieme a Buenos Aires.
Stesso stile: sobrio, concreto, votato al Vangelo. Ed è stato così che Tasca, nella mappa mentale di Bergoglio divenuto nel frattempo Francesco, ha finito per superare tutti i candidati dell’episcopato ligure che avrebbero immaginato di occupare la casella.
Ma il Pontefice argentino, ha sorpreso ancora una volta tutti, andando a pescare il nuovo arcivescovo della Superba non più nel Triangolo lombardo-ligure-piemontese, ma nella provincia più oscura del Nord Est.
Tutti curiosi, perciò, a Genova, di vederlo dal vivo e di conoscere le idee di un prelato ben lontano come formazione e impostazione dal cardinale Bagnasco, pure molto amato a Genova per l’impegno sociale forte impresso da tutti i successori di Giuseppe Siri, e però chiaramente diverso.
Nelle prime apparizioni e dichiarazioni, l’arcivescovo Tasca non ha tradito le attese.
Poche, innanzitutto, le sue affermazioni pubbliche. Il nuovo numero uno della Chiesa genovese è uomo parco di parole, e attento a quelle che usa.
Per presentarsi lo ha fatto concedendo un’intervista a un settimanale, cattolico, “Il Cittadino”, rispondendo alle domande del suo direttore, monsignor Silvio Grilli. E qui ha chiarito subito la sua linea: non parlare di sé, invitando i media a non insistere sul “personaggio” quanto piuttosto sulla Chiesa, su Genova, sui fedeli e le loro necessità.
Un concetto ribadito poco dopo nella sua prima “Lettera alla Chiesa che è in Genova”, intitolata “Rinascere dall’alto”, pubblicata sul sito online della diocesi.
E’ stata poi la volta della sua prima apparizione pubblica, a luglio, per l’insediamento ufficiale. In una Piazza della Vittoria sufficientemente piena di fedeli e curiosi, causa distanziamento, alla fine della cerimonia Tasca ha liberato l’applauso di tutti scendendo dall’altare e avvicinando ogni settore del pubblico, non solo le prime file zeppe di autorità.
Privo di mascherina, si è fatto abbracciare, baciare, fotografare, strattonare e tirare la veste sacra da dietro come una rock star. Qualcuno, il giorno dopo, deve averlo avvisato.
E per la sua prima messa celebrata in San Lorenzo ha prudentemente salito i gradoni del Duomo ben dotato di una protezione sul viso.
Da quel momento, in centro a Genova non lo hanno visto più. Al mattino presto, invece, in chiese diverse della periferia, è stato di volta in volta individuato nelle seguenti parrocchie e comunità, all’improvviso e senza farsi annunciare: alla Madonna della Guardia, a San Bartolomeo della Certosa, nella chiesa di Quarto, a San Francesco d’Albaro.
In quest’ultima sede ha messo le tende, stupendo quanti si aspettavano di incontrarlo nell’ampio appartamento dentro la diocesi di Piazza Matteotti. Si è fatto allestire una stanza molto semplice, un letto, un comodino, un armadio, un tavolo. Ogni tanto scende a dire messa, però in una delle navate laterali.
Dal radar dei media è sparito per un altro mese. inevitabilmente, per l’inaugurazione del nuovo Ponte San Giorgio ha rilasciato la sua prima intervista a quotidiani laici, e assieme a L’Avvenire ha riunito i due giornali locali, Il Secolo XIX e Repubblica Genova.
Pronunciando parole nel solco di Francesco: “La ricostruzione del ponte è certamente un forte segno di rinascita per la città di Genova e per l’intero Paese: è un motivo di incoraggiamento per tutti.
Ma insieme alla ricostruzione – peraltro doverosa – di beni materiali occorre ricostruire anche i cuori, bisognosi di speranza e di fiducia per il futuro. Questo è un compito particolare per la Chiesa”.
E ancora: “A tutti dirò che siamo chiamati a servire, a non voler primeggiare ma a svolgere i propri compiti mettendo in primissimo piano il Vangelo, il rispetto per le regole della liturgia evitando ogni inutile e dannoso protagonismo. Nessuna vanità! Un solo esempio da imitare: la vita di Gesù”.
Questo l’inizio. Se dovessimo giudicare il suo primo approccio pastorale, Tasca appare un Francesco in sedicesimo, essendo l’originale inimitabile.
Come ha spiegato nel suo primo giorno genovese in Piazza della Vittoria, presentandosi ai confratelli e ai suoi nuovi fedeli: “Prego Dio che si realizzi l’augurio che mi è stato rivolto in questi giorni: di non essere semplicemente un francescano vescovo, ma un vescovo francescano”.
L’appartenenza a un Ordine che si professa “mendicante” fa da garante. Sono i primi indizi, che vanno seguiti e raccolti come una mappa, per capire quella che sarà la Chiesa di Genova dei prossimi anni.
Una Chiesa collegiale, come vuole Papa Francesco: lo testimonia la messa celebrata a San Lorenzo nella solennità del patrono, con il vescovo ausiliare Nicolò Anselmi alla sua destra, e il vicario generale monsignor Marco Doldi alla sinistra.
Ma anche una chiesa popolare, ancor più vicina alla gente rispetto al passato. E dove, a diventare centro, è la periferia.