PYONGYANG – Ogni notte, a mezzanotte in punto, i grandi altoparlanti puntati sulle strade di Pyongyang diffondono, per conciliare il sonno del popolo nordcoreano, una breve ninna nanna.
Si chiama “Non finire, notte di Pyongyang“, ed è un brano soave e leggero come una camomilla.
La cerimonia si ripete qualche ora dopo, al sorgere dell’alba, per accompagnare il risveglio dei cittadini pronti ad andare al lavoro.
Melodie uguali per tutti, secondo il dettato marxista-leninista in salsa asiatica di Kim Il Sung, il “Presidente eterno” morto nel 1994 ma la cui ideologia continua a dominare la Corea del Nord.
C’è però chi non ha bisogno della sveglia popolare. Nell’ultimo avamposto del comunismo duro e puro, alcuni fortunati si alzano privatamente al trillo di una radio prodotta in Indonesia o collegandosi a un iPod made in China.
Sono i rappresentanti dell’élite legata al figlio del fondatore, l’ eccentrico Kim Jong Il, al quale devono, oltre ai gadget tecnologici di nuova generazione, privilegi e benessere.
A patto di rispettarne la politica estera, diretta a suon di minacce nucleari e lanci di razzi balistici prima di sedersi ai tavoli negoziali. Missili e telefonini.
A dispetto della fame cronica sperimentata nelle inaccessibili provincie al confine con la Cina, a Pyongyang la borghesia riempie negozi e ristoranti, come quello del Moranbong hotel dove, dietro volte stuccate e con il sottofondo di Vivaldi, si viene serviti ad aragoste e ostriche per meno di 10 euro.
Questa invidiabile esistenza riguarda lo 0,1% della popolazione totale (quasi 22 milioni), ma è sufficiente a tenere viva la capitale e a rinvigorire un’economia molto meno asfittica rispetto al recente passato.
Perché in modo lento, ma inesorabile, i segni di un cambiamento sono evidenti anche qui. Grandi cartelloni pubblicitari, i primi in assoluto, invitano ad acquistare automobili di marca locale.
Il traffico, solo vent’anni fa inesistente in un centro attraversato da larghi viali isolati, è ora denso e regolato da bellissime vigilesse in pedana.
Nei grandi magazzini la merce è di buona qualità. Al centro commerciale “Paradiso“, con ingresso su un lato di Piazza Kim Il Sung, non si trovano solo generi alimentari, ma beni di largo consumo: frigoriferi, televisori, cellulari. I portatili sono la nuova moda.
Sulla centrale via Kwangbok non è infrequente imbattersi in passanti con il telefonino all’orecchio, come in tutte le strade del mondo. E fra le pubblicità che si fanno largo in TV hanno fatto la loro timida apparizione quelle della compagnia telefonica Koryolink (Koryo, cioè Corea).
È però impossibile comunicare con l’ estero – in questo il Paese rimane un vero Regno eremita – ma solo all’interno. Internet e la posta elettronica costituiscono la nuova frontiera.
Nei grandi alberghi come il Koryo, lo Yanggakdo e il Potomgang si possono mandare messaggi, benché al costo di 2 euro l’ uno. L’operazione di invio è tuttavia compiuta manualmente da impiegate addestrate a richiedere in via preventiva l’ indirizzo per iscritto, verificandone poi la veridicità prima del rilascio elettronico.
In teoria tutto, dalla sede in cui si procede all’invio, potrebbe essere letto sia in partenza che in arrivo.
La rete è in evoluzione. Per ora funziona solo il sistema Intranet, cioè un
internet a diffusione locale. Perché le notizie o non esistono, oppure sono prigioniere del sistema mediatico guidato dal Partito dei lavoratori (le altre due compagini al potere, quella socialista e quella religiosa vengono definite «formazioni amiche»).
In Corea del Nord si vive come immersi in una bolla d’aria, fuori dal resto del mondo. Alcuni osservatori sperano che prima o poi la rete internazionale riesca a rompere gli argini della censura, sfondando anche nell’ultimo Paese dove le informazioni arrivano in modo davvero rarefatto.
Per un panorama mediatico quanto meno accettabile non sono certo sufficienti le 8 pagine settimanali del Pyongyang Times, acquistabile in libreria, inno al potere ufficiale che nemmeno la Pravda dei tempi d’ oro.
Eppure, negli hotel dove solo tre anni fa gli unici programmi fissi erano i due noiosissimi canali locali, oggi la gamma si è allargata alla BBC, a una TV giapponese e a un’ altra russa.
Insomma, un mezzo suicidio peri frequentatori abituali dello zapping. Un considerevole passo in avanti, invece, per un regime tradizionalmente allergico a ogni contatto esterno. Se per strada i nuovi telefonini squillano, i vecchi missili Rodong e Taepodong non smettono tuttavia di solcare i cieli.
La Corea del Nord non smette di ricercare e di essere pericolosamente all’avanguardia nei suoi propositi bellici.
Il lancio, avvenuto poche settimane fa, di 5 vettori a corto raggio e l’ esplosione di un congegno nucleare hanno fruttato a Kim Jong Il la visita del premier cinese Wen Jiabao, con il successivo ripiegamento verso una strategia più incline al sorriso che alla minaccia.
Pechino è la sola potenza in grado di far ragionare Pyongyang, riuscendo a ottenere il via libera per il ripristino del cosiddetto tavolo a sei (Usa, Russia,
Cina, Giappone, Sud Corea e Nord Corea appunto), boicottato fino a poco tempo dal bizzoso leader nordcoreano.
Anche l’atmosfera con gli Stati Uniti, dopo l’ avvento di Obama e finiti gli anni di Bush, sembra avviarsi al meglio.
Leggendo il Pyongyang Times si nota addirittura una certa nostalgia nel ricordo della storica visita compiuta qui da Madeleine Albright nel 2000, allora segretario di Stato americano di Bill Clinton, quando Kim Jong Il le chiese l’ indirizzo di posta elettronica, così disse, per poter comunicare meglio. Non si sa se lo scambio di mail fu perfezionato.
Lo stesso Kim è un patito di tecnologia e possiede anch’egli un indirizzo elettronico supersegreto. Che funziona a circuito chiuso, in una rete gestita dall’esercito: nelle cui mani la Corea del Nord sembra affidarsi sempre di più.