Di Marco Ansaldo
C’è stato un tempo – fra il XI e il XVI secolo – in cui Genova si muoveva sullo scacchiere geopolitico del mondo allora conosciuto come una superpotenza. Controllando – in modo diretto o indiretto – non solo ampie regioni d’Europa, ma addirittura allargando la propria influenza in Asia e in Africa, sino alle periferie più estreme del globo. Quel tempo, oggi, a determinate condizioni, può tornare.
Sotto altre forme, ovviamente, e con modalità diverse. Non più come una superpotenza, e certamente non per imporre domini, ma come un centro importante capace di influire sul mondo. E per chi crede alla teoria del Vico sui corsi e i ricorsi della Storia, la rinascita di Genova, a cui già si assiste con meraviglia, se condotta in modo lungimirante dai decisori della città può far uscire la Liguria dalle secche in cui per decenni si è infilata, avviando un percorso di crescita inarrestabile quanto imprevedibile.
Per comprendere però le potenzialità geopolitiche della Genova attuale occorre partire, per l’appunto, dalla Storia. Rispolverando, a uso stesso dei suoi cittadini, noi per primi, alcuni concetti fondamentali e le pagine che per molti secoli ne fecero una delle città più forti e attrezzate del mondo. Ecco perché, con la collaborazione di Limes, nelle giornate del 19 e 20 gennaio 2024 ho ideato, curato e organizzato un convegno dal titolo “L’Impero di Genova – Dal Mar Nero all’Atlantico, la grande espansione nel Medioevo” che, raccogliendo alcuni fra i maggiori specialisti internazionali della storia antica della città, ha dato il via agli eventi di Ianua, l’Anno di Genova nel Medioevo, raccontando a 5 mila genovesi accorsi in massa nelle sale di Palazzo Ducale che cosa fu quella straordinaria esperienza. È utile ora tornare a ricordarla qui per sapere come adoperarla in futuro. E vedere dove la Liguria è impegnata oggi, e fin dove può arrivare. Ne parleremo in coda a questo articolo.
Già a quell’epoca Genova, presente fin dal 1273 stabilmente a Costantinopoli come base di attracco e proiezione ulteriore nel Mar Nero, si presentava come una città con un’influenza capillare nel commercio, nella finanza, nella forza militare, nella lingua, usi e costumi.
E che da Cadice alla Siria, dall’Inghilterra al Marocco, partendo dalle sue espansioni da Corsica, Sardegna e Sicilia, riusciva a costruire nuovi insediamenti collocandoli in luoghi strategici attraverso monumenti e forti. Con una precisa valenza geopolitica, unendo – nonostante la varietà di poteri amministrativi – aree molto distanti fra loro, ma tutte sotto un’unica bandiera, quella di San Giorgio, croce rossa in campo bianco, il cui uso è attestato almeno dal 1113.
Le navi che partivano dal porto raggiungevano la Terrasanta, l’Egitto, l’Inghilterra, le Fiandre, la penisola iberica. E sul lato opposto delle mappe, brandendo il vessillo della loro Repubblica, quei mercanti si spingevano fino in Cina. Molti siti, a partire da quelli della Crimea, territorio oggi in guerra, appartengono a quello che gli esperti internazionali riuniti nella capitale dei loro studi hanno definito – con accenti diversi, e lo vedremo nelle Conclusioni di questo dossier affidate alla penna e alla capacità riepilogativa di Alessandro Barbero – come l’Impero di Genova.
Forse nemmeno oggi gli stessi genovesi riescono a rendersi pienamente conto di quello che fu in quei secoli la loro città. Un modello organizzativo per la Storia europea, l’antecedente della moderna colonizzazione. Con un approccio che non si basava sull’occupazione militare, quanto sulla concessione di territori da usare a scopi commerciali. Lì le famiglie provenienti dalla Liguria finivano per mescolarsi con le popolazioni dominanti più rappresentative, e poi prosperare.
Un grande studioso come Geo Pistarino, per molti anni anima dell’Istituto di Medievistica all’Università di Genova, maestro e collega di tanti dei relatori convenuti a Palazzo Ducale, in una lettera di risposta a un suo corrispondente il 23 aprile 1997 scriveva: <Nella mia produzione scientifica io ho sostenuto che la Repubblica di Genova costituì un unicum nella storia d’Italia, in quanto la sua vicenda storica non è tanto italiana quanto euromediterranea. E per il Genovese, medievale, soprattutto (ma anche prerisorgimentale), un milanese o un fiorentino sono altrettanto “stranieri” quanto un francese o uno spagnolo. Per i Genovesi la loro “nazione” non è circoscritta nella Liguria, ma comprende tutta la complessità delle cosiddette “colonie” (meglio direi “insediamenti”), sparsi per tutto il mondo, anzi tutti i singoli genovesi che vivono al di fuori dei confini regionali liguri. I Genovesi stessi si definirono nel Medioevo una “Comunitas”; io ho usato il termine, forse un poco improprio, di “Commonwealth”, alla inglese>.
Dal che si evince che la storia medievale della città non riguarda oggi solo Genova, ma mezzo mondo. E il cui impero non è costituito da una superficie definita solo territorialmente, ma da una rete di possedimenti, di basi commerciali, di porti, sedi mercantili, rotte battute in lungo e in largo dalle galere genovesi. Un impero <fluido>, come è stato definito, costituito sulla mappa da una serie evidente di punti collegati fra loro, oggi ricostruibile in dettaglio.
Il Direttore di Limes, Lucio Caracciolo, nella sua Introduzione volta ad attualizzare i lavori del convegno internazionale ha evidenziato: <Il passato di potenza di Genova non è conosciuto, lo ignoriamo. È studiato più all’estero che qui>.
E la lungimiranza strategica della Genova antica è testimoniata ad esempio dal valore geopolitico assegnato, già all’epoca, alla Crimea. Lo capiamo bene ora, dopo la conquista della penisola fatta dalla Russia nel 2014 e nel successivo attacco all’Ucraina del 24 febbraio 2022. <Sono in molti oggi a voler controllare il Mar Nero. I russi considerano la Crimea come qualcosa di irrinunciabile, cosa ovviamente contestata dall’Ucraina.
La presa della penisola ha un valore storico, pedagogico e simbolico, perché si riferisce al periodo imperiale russo. Ribaltando la prospettiva, dal punto di vista ucraino la Crimea permette sotto un profilo strettamente geopolitico uno sbocco importante al mare, oltre al fatto di poter commerciare con il mondo soprattutto per le derrate di grano>.
Nelle due giornate di incontri i relatori hanno ricordato come le espansioni ebbero il loro primo sviluppo lungo le tre grandi isole di Corsica, Sardegna e Sicilia. Ma finirono per irradiarsi oltre le zone note del Mediterraneo, facendo infine leva su un luogo nevralgico come Costantinopoli (da qui la felice scelta del manifesto del convegno, con un’immagine insolita della Torre di Galata a Istanbul), per proiettarsi sul Mar Nero e sulla Crimea, tuttora zeppa di siti genovesi, da Caffa a Sebastopoli, da Balaklava a Jalta.
Proprio la Torre di Galata, così imponente da essere veduta ancora adesso da ogni lato di Istanbul, è il simbolo – incontestato dai turchi – di una metropoli oggi di 26 milioni di abitanti, centro di un mondo in grande trasformazione e che già i genovesi di un tempo avevano colto come luogo cruciale a livello geopolitico. Oggi, di sicuro, ancora di più. Come è altrettanto vero il detto che i genovesi, dove vanno, cercano di ricreare la loro città. Perché anche adesso la vecchia Galata, un tempo la greca Pera, e oggi Beyoglu, il quartiere turco più vivo e culturalmente attivo della metropoli, è formata da quelli che sono dei veri e propri <carruggi>, i tipici vicoli di Genova, innestati nel reticolo delle strade che scendono fino al Bosforo.
Quello di Genova fu dunque un impero di relazioni, alleanze, traffici. I maggiorenti della città lo costruirono in maniera astuta, basandosi su due cardini: la diplomazia e il commercio. Non ci fu solo imposizione, o non solo. Ci furono invece scambi e, questa sì, parecchia intelligence: tanti gli esempi di agenti segreti genovesi inviati nelle terre straniere. Questo più tardi permetterà ad alcuni esploratori, come ben rilevato nella relazione di Carlo Taviani, dell’Università di Teramo, di poter fruire nel 1400 e nel 1500 di finanziamenti per i primi viaggi lungo le piste del Sahara, fino a Timbuctu, nell’odierno Mali.
E ancora, passando dal Maghreb di proseguire fino all’Oceano Atlantico, con punte a Madeira, alle Canarie e a Capo Verde. Sembra incredibile. Durante la metà del XV secolo alcune famiglie genovesi già commerciavano con il Nord Africa, portando beni di lusso, quali oro, cavalli pregiati, animali esotici, piume di struzzo, corami, profumi e coralli a Genova, e da lì in diverse corti italiane, come quella dei Gonzaga e degli Este. Alcuni genovesi erano radicati nel regno di Tlemcen e avevano legami con i mercanti ebrei e musulmani di Sigilmassa (Marocco), dove arrivavano le carovane che attraversavano il Sahara. Fu così che venne finanziato il viaggio di Antonio Malfante (1410-1450), che si spinse a sud e raccolse informazioni su Timbuctu.
Alessandro Soddu, dell’Università di Sassari, ha spiegato come i genovesi, naturalmente proiettati sul mare, ebbero il loro primo campo d’azione nel Tirreno. Nei primi decenni dell’XI secolo liberarono la Sardegna dal pericolo saraceno, guadagnandosi l’accesso ai mercati locali, penetrando durante i due secoli successivi nei tessuti istituzionali ed economico-sociali. Nel XII secolo il ceto mercantile si ritagliò un ruolo di primo piano anche nella Sicilia normanna, mentre più controverso si rivela il rapporto con la dinastia sveva, da cui i liguri trassero comunque privilegi e posizioni di potere.
Il legame fra Genova e la Terrasanta, analizzato da Antonio Musarra, della Sapienza Università di Roma, e curatore del Progetto Ianua, è strutturale. Caffaro, il decano dell’annalistica genovese, non esita a coniugare il sorgere della “compagna” – cioè di quell’organismo dai labili tratti pattizi e istituzionali dal quale sarebbe scaturito il comune di Genova – alla partecipazione dei propri concittadini alla prima crociata, consumatasi nel decennio a cavallo tra XI e XII secolo.
Sulle indagini archeologiche in Medio Oriente si è concentrato Fabrizio Benente, Prorettore alla Terza Missione dell’Università di Genova, notando come la città rivestì un ruolo di primo piano nelle vicende mediterranee. Soprattutto nei secoli centrali del Medioevo. La sua potenza marittima, eguagliata solo in parte da Pisa, Venezia e Barcellona, è stata fonte di aspre lotte per la supremazia. L’intraprendenza dei suoi cittadini, soprattutto nel campo delle attività economiche, è testimoniata da numerose fonti. Il riferimento non è soltanto a quelle scritte. Tra di esse spiccano le fortificazioni erette nel Mar Nero: la principale frontiera del commercio genovese trecentesco.
Proseguendo verso Oriente, Hasan Sercan Sağlam, dell’Università Koc di Istanbul ha parlato dello sviluppo della colonia genovese di Pera nel Basso Medioevo, ricca colonia commerciale fra il 1267 e il 1453. Un centro che prosperò anche dal punto di vista architettonico. Tuttavia i genovesi non fondarono un insediamento ex novo: possedevano infatti già un quartiere bizantino urbanizzato.
Dalla metà del XIV secolo, l’aristocrazia bizantina fu costretta a un cambiamento radicale per garantire la propria sopravvivenza economica. E i genovesi a Costantinopoli, come ha ricordato Thierry Ganchou, del Collège de France, rammentando le relazioni che ebbero con la Corte imperiale, avevano tratto fino ad allora il proprio reddito dalle proprietà terriere. La conquista ottomana la costrinse però a dare la priorità al reddito proveniente dal commercio marittimo. Per due secoli, i veneziani e i genovesi avevano controllato questo commercio, questi ultimi in particolare grazie alla loro rete coloniale, dall’isola di Chio a Caffa nel Mar Nero e, di fronte alla stessa Costantinopoli, nella loro colonia di Pera/Galata.
Sulla Romània, cioè l’area di lingua greca appartenente all’Impero Bizantino, si è diffuso Daniele Tinterri, dell’Archivio di Stato di Genova. In conseguenza della quarta crociata, la Romània divenne una regione in profondo cambiamento. Su questo scacchiere Genova fu presente fin dalla convenzione con l’imperatore Manuele Comneno del 1155. Ma sarà il trattato del Ninfeo del 1261 a darle un ruolo di primo piano.
Quella dei mercanti genovesi che scelgono di percorrere gli itinerari che portano all’India e alla Cina è una storia affascinante – ripercorsa da Giustina Olgiati, dell’Archivio di Stato di Genova. Uomini audaci, che si muovevano senza la protezione dei trattati internazionali, viaggiando in territori dove i rischi erano altissimi. Nonostante la riservatezza che i genovesi si sono sempre imposti per tutelare percorsi e contatti, le loro storie sono emerse dalle fonti letterarie, dalle cronache e dalle continue scoperte sulla documentazione notarile conservata presso l’Archivio.
Di pari fascino le proiezioni genovesi verso Occidente. Francisco Apellániz, dell’Università L’Orientale di Napoli, ha parlato di finanza, navi e spezie: cioè del sistema genovese visto dal Medio Oriente. A Genova l’enorme ricchezza delle famiglie nobili, frutto dei loro precedenti privilegi nel campo del commercio e della navigazione, costituì un primato che attraversò tutto il Medioevo e prese forma definitiva verso la fine del XV secolo.
Adela Fábregas Garcia, dell’Università di Granada, ha illustrato il “Sistema dei due mari”, Siviglia e Granada, con le caratteristiche della presenza genovese nel sud della Penisola Iberica tra il XIII e il XV secolo, concentrandosi sulla loro rilevante attività mercantile sia nei mercati cristiani (Siviglia) che in quelli islamici (mercati nasridi di Málaga, Almería e Granada).
Della diffusione nel Nord Europa si è occupato Enrico Basso, dell’Università di Torino, ricostruendo come a partire dall’ultimo quarto del XIII secolo i genovesi furono i primi a riaprire la rotta di navigazione che, attraverso lo Stretto di Gibilterra, metteva direttamente in collegamento i porti mediterranei con quelli dell’Inghilterra e delle Fiandre. In tal modo, furono i pionieri dell’interscambio marittimo che vedeva l’esportazione in direzione Nord dei prodotti mediterranei (olio, vino, frutta secca, ma soprattutto allume e guado) e l’importazione verso il Mediterraneo essenzialmente della lana prima e dei pannilana grezzi poi, che alimentavano la produzione della grande industria tessile fiorentina.
Infine gli avanzamenti sul Mar Nero, con la cosiddetta Gazaria genovese. Il nome degli stabilimenti genovesi sulla costa della Crimea viene dalla popolazione dei Khazar, che avevano creato un impero nel sud della Russia tra il VII e il X secolo. E, come ha ricordato Michel Balard, emerito dell’Università della Sorbonne a Parigi, di fatto la Gazaria genovese si estendeva da Cembalo ad ovest fino a Vosporo ad est, tramite Soldaia e Caffa. Cembalo (oggi Balaklava) fu presa negli anni 1340 dai genovesi che vi costruirono una fortezza sopra una baia ben protetta.
La fonte per eccellenza relativa allo stabilimento genovese di Caffa in Crimea – come ha spiegato Laura Balletto, dell’Università di Genova – è costituita dai quasi novecento atti pervenutici, ivi redatti dal notaio Lamberto di Sambuceto nel 1289-1290, e dai quali emerge con chiarezza quale importanza rivestì Caffa nel campo del commercio internazionale già a breve distanza dalla sua nascita. Nei secoli successivi, malgrado diversi periodi di crisi nei rapporti sia con i khan tatari sia con Venezia, Caffa riuscì a mantenere una posizione di privilegio in Crimea perfino dopo la conquista turca di Costantinopoli.
Tana (Azov) e Trebisonda (Trabzon) costituivano infine i due terminali principali della rotta dall’Oriente verso l’Europa Occidentale. In questi porti, come ha spiegato Sergej Karpov dell’Università Lomonosov di Mosca, si incontravano carovane mercantili dell’Asia Centrale e dell’Orda d’Oro con navi di Genova e Venezia. Per Genova, questi due insediamenti, fondati alla fine del XIII secolo, erano le stazioni commerciali più lontane, dove si svolgeva una feroce lotta e simultaneamente una stretta cooperazione commerciale tra i mercanti delle due repubbliche mercantili.
Le Conclusioni di Alessandro Barbero, che rimandiamo alla fine di questo dossier assieme a tre articoli nuovi di alcuni dei relatori scelti qui semplicemente per dare un quadro ampio della diffusione dell’Impero genovese nel mondo, hanno riunito i temi più rilevanti delle discussioni emerse durante i lavori. <Certo che è un Impero, ma un Impero liquido, tracciato dall’acqua. Anche una realtà fluida. Però costruito con solide pietre. Era anche un solido Impero fortificato, non solo tracciato sull’acqua. E quindi un Impero in due sensi. I genovesi imposero un Impero coloniale con leggi genovesi e funzionari genovesi, con la popolazione assoggettata ai genovesi. Ma poi fu anche un Impero commerciale, di privilegi e di monopoli> (Barbero).
La Genova attuale, orgogliosa del proprio passato, ha tuttavia trascorso gli ultimi decenni del secondo millennio a leccarsi le ferite, in un declino che pareva inevitabile, fra la caduta dei colossi dell’industria siderurgica e i colpi micidiali assestati dal terrorismo brigatista. Oggi, invece, è protagonista di un colpo di reni inatteso. Come spesso accade, sono le difficoltà a offrire opportunità inaspettate, mostrando il vero carattere, sia esso dei singoli che di realtà composite.
E l’ultima frustata ricevuta attraverso il crollo del Ponte Morandi, il 14 agosto 2018, con il dolore per le decine di vittime e il disastro del sistema viario, è stata presto ribaltata dalla ricostruzione del viadotto. Il progetto di Renzo Piano ha finito per dare impulso a una serie di iniziative che, una volta realizzate in tempi sufficientemente brevi, possono cambiare non solo il volto estetico di un centro e di un lungomare già migliorati da diversi anni, ma le stesse prospettive globali della città e la sua proiezione esterna.
La nuova stagione d’oro di Genova e della Liguria passa ancora una volta per il trasporto, cioè il sistema odierno e rinnovato delle antiche rotte commerciali di un tempo. E per non pochi progetti strutturali: come ad esempio la Gronda, un sistema autostradale volto a superare la città collegando le vie da est e da ovest con la A7 verso Milano, facendo dunque risparmiare costi ma soprattutto tempi di percorrenza.
O come il Terzo Valico, piano ferroviario di Alta velocità in grado di collegare la città con la Pianura Padana riducendo i tempi per Milano a una sola ora di viaggio. Oppure il Tunnel subportuale, teso a superare gli intasamenti stradali attraverso quella che sarà la prima galleria sottomarina in Italia e la più grande in Europa. O lo Skymetro (progetto peraltro contestato da alcuni comitati) che collegherà l’interna Val Bisagno alla Stazione di Brignole, dunque al centro città.
O ancora, la Nuova diga foranea, capace di allargare l’accesso a un porto che necessita di nuovi spazi per permettere l’attracco delle colossali navi portacontainer. E il Waterfront di Levante, altro progetto architettonico e tecnologico di Piano che costituirà la Marina di Genova, giusto all’imboccatura della Sopraelevata che porta alle Autostrade. Per non parlare del turismo, oggi settore cruciale della Liguria, in continuo aumento, assieme alla cultura e alle continue proposte elaborate per eventi e musei.
La svolta arriva, dietro la consapevolezza cosciente del proprio passato, con un mutamento profondo di atteggiamento e di mentalità – altrimenti tradizionalmente chiusa nel carattere e tesa al brontolìo (il celebre “mugugno”) – e l’apertura a un nuovo sviluppo internazionale attraverso il rilancio della città e del porto. Affrontando e superando con la trasparenza necessaria anche gli scandali più recenti.
Lo sguardo torna con vista sul Mediterraneo e agli scambi internazionali, favoriti da nuove strade. Verso Sud, principalmente, ma senza trascurare l’Est e l’Ovest, come hanno insegnato le rotte di mille anni fa, comprendendo obbligatoriamente il Nord. Dialogo e iniziative con tutte le parti del mondo, mettendosi al centro, forti della propria storia e della posizione geografica. Così oggi Genova cambia.