CITTÀ DEL VATICANO Balli tribali e colori sgargianti. Sgozzamenti di polli e bambole con gli spilloni. Danze sfrenate ed estasi mistiche. E poi corni di conchiglia, serpenti celesti, divinità dei mari e dèe della fertilità.

Quanta fede e quante versioni esistono dei riti del voodoo? Joseph Ratzinger, il Papa tedesco, teologo razionale ma Pontefice sempre più pastore nella sua incessante opera di dialogo con culti diversi, parte venerdì per il Benin. La culla del voodoo, al quale credono l’ 80 per cento dei beninesi, e dove lo spiritismo è dal 1996 la religione ufficiale.

E chissà se Benedetto XVI, atterrando a Cotonou, la capitale il cui aeroporto è intitolato al suo grande amico, il porporato africano Bernardin Gantin, decano del Collegio cardinalizio e oggi sepolto nella vicina Ouidah, non ricorderà le parole pronunciate nel 1993 dal suo predecessore Giovanni Paolo II- che in questo piccolo Paese dell’ Africa, al quart’ultimo posto al mondo per Prodotto interno lordo, venne addirittura due volte – incontrando i capi della spiritualità voodoo.

«Cari amici – disse Karol Wojtyla, aprendo le braccia alla loro fede- siete fortemente attaccati alle tradizioni che vi hanno tramandato i vostri Antenati».

«È legittimo essere riconoscenti verso i più anziani che vi hanno trasmesso il senso del sacro, la fede in un Dio unico e buono, il gusto della celebrazione, la considerazione per la vita morale e l’ armonia della società. I vostri fratelli cristiani apprezzano, come voi, tutto ciò che è bello in queste tradizioni, poiché sono, come voi, figli del Benin».

L’ accoglienza al Papa fu calorosa, come nel viaggio precedente nel 1982, e in quello dell’ anno dopo ad Haiti, altra patria del voodoo, ma lontano dall’Africa, in America Latina. Così come nello storico viaggio all’Avana. E anche il Benin per vent’anni ha vissuto sotto una dittatura marxista- leninista, meritandosi l’ appellativo di “Cuba d’Africa“.

Chi ci è stato a lungo è monsignor Giuseppe Bertello, oggi presidente del Governatorato del Vaticano, per dieci anni nunzio a Cotonou. «In Benin la Chiesa ha sempre avuto un approccio al dialogo religioso – ha spiegato l’ altro giorno Bertello a Radio Vaticana – ricordo ancora che la lettera pastorale del Papa, all’ epoca, fu un documento accolto con molta simpatia proprio dai non cristiani per primi.

Fu per questo che vollero monsignor Isidore de Souza come presidente della Conferenza internazionale. Quella lettera aveva preparato il terreno a un discorso di riconciliazione nel clima difficile che viveva il Paese, ed era riuscita anche a dare un po’ di fiducia per cominciare un cammino nuovo».

In Benin la religione del voodoo- perché di vera e propria fede si tratta – è praticata dai quattro quinti della popolazione. Esiste una Chiesa vuduista solidamente istituzionalizzata, capace di amministrare le sue congregazioni, organizzare le cerimonie, dotata di un corpus di dottrine morali e di una teologia strutturata.

I suoi sacerdoti, i Papaloa, aiutati dalle sacerdotesse Mamaloa, gestiscono seminari, scuole, ospedali e ospizi. Poi ci sono i cosiddetti “Roi“, i re, discendenti degli antichi sovrani del Dahomey, vecchio nome francese del Benin. Oggi due di loro si contendono il titolo di “Papa” del voodoo.

La mediazione con Dio è affidata agli spiriti protettori presenti negli elementi della natura, fulmini, fuoco, terra, acqua. Ma il sottosviluppo ha finito per provocare danni gravi anche alla pratica religiosa, spingendo nel voodoo beninese non ai feticci trafitti come avviene ad Haiti, ma agli avvelenamenti.

«La degenerazione dell’animismo conduce a forme di satanismo col ricorso ai malefici – spiega padre Alfonso Maria Angelo Bruno, direttore dell’ufficio di comunicazione dei Frati francescani dell’Immacolata a Roma, che per dodici anni ha vissuto in Benin e lo ama e conosce profondamente.

Se queste pratiche hanno generato la cultura della paura, all’origine delle forme di violenza occulta c’ è il fenomeno della poligamia, che ha portato alla “cultura della gelosia” tra fratellastri e sorellastre.

Il fenomeno del Vidomegon, cioè dei “bambini piazzati“, simile al costume napoletano del “carotenuto”, nasce dal principio di solidarietà nel clan: i più poveri vengono adottati dai familiari più agiati.

Oggi, tuttavia, questa tradizione cede il posto al bambino venduto o schiavo, costretto a fare lavori umili per le famiglie più ricche. Un giorno ne ho visto uno che aggiustava un tetto, sospeso per aria. Ma guardate che da lassù muore se cade, ho detto. Tanto è un bambino, è stata la risposta».

I 10 vescovi cattolici locali conoscono bene questa realtà, e cercano di porvi
riparo . Con una delicata opera di mediazione tentano di mettere pace alle inevitabili lotte intestine, mantenendo la calma durante le tornate elettorali, gli scioperi dei funzionari pubblici, dei professori.

In questo un ruolo speciale va alle emittenti . Un mezzo come Radio Immaculèe Conception, ad esempio, riceverà il 3 dicembre prossimo il premio come miglior media dell’anno.

In un Paese dove l’ Islam è presente solo nel nord, la classe dirigente è per la maggior parte formata da cattolici. E quello che lo Stato non riesce a fare
nell’ assistenza, la Chiesa lo fa con i religiosi Camilliani nella cura dell’Aids, e con il Fatebenefratelli nella chirurgia specializzata.

«L’ intenzione del Papa è quella di valutare, insieme con i vescovi, le condizioni della Chiesa del Benin – continua padre Bruno, i cui confratelli sono presenti in loco con due comunità, due orfanotrofi, la radio nazionale, un seminario e un santuario – per mantenere quel ruolo di laboratorio del cattolicesimo africano che il Paese ha sempre svolto».

Il Paese celebra ora i 150 anni di evangelizzazione. Primo missionario il genovese Francesco Borghezio, della Società Missioni Africane. Nella capitale la nunziatura è piazzata a fianco del bunker riservato all’ambasciata cinese e alla rappresentanza diplomatica della Libia.

Perché il Benin ha un grande valore geopolitico, ed è un Paese cuscinetto fra Togo e Nigeria. In Africa è considerato un punto di riferimento cattolico: da qui sono usciti cardinali e vescovi di grande valore. A Cotonou, Benedetto XVI consegnerà difatti all’episcopato l’ Esortazione Apostolica “Africae munus“, cioè “L’ impegno dell’Africa”: in un’ ottantina di pagine quanto è emerso nel Sinodo africano dell’ottobre 2009.

E dedicherà una parte del viaggio all’incontro con la classe emergente del giovane laicato cattolico, ricevendo una rappresentanza della Comunità di Sant’ Egidio beninese, capitanata da uno dei suoi animatori, Leopold Djogbede.

La comunità di Trastevere è presente in Benin da più di dieci anni in otto città, con cinquecento attivisti e iniziative che riguardano l’ educazione dei minori, la promozione della pace e della coesione sociale, la difesa dei diritti umani, la lotta contro la pena di morte.

Fiore all’occhiello: la “Maison du rêve“, la casa del sogno, una struttura per bambini di strada che dormono attorno al mercato centrale, accolti quotidianamente per ricevere cibo, vestiti, educazione, igiene personale. Ora sono più di cento qui, fra i 6 e i 12 anni.

Ma attivo, soprattutto, è il servizio agli anziani. Anche in Benin cresce un certo fastidio per la presenza sempre più numerosa di vecchi considerati improduttivi, privi di sicurezza sociale e di pensione.

Le famiglie, i quartieri, i villaggi li espellono addirittura. Magari con motivazioni magiche sul loro ruolo nefasto. «E’ anche il tema della stregoneria che ritorna – spiegano a Sant’ Egidio – nel passaggio verso una difficile modernità». 

(15 novembre 2011)