Il Cardinale Maradiaga ricorda i colloqui col líder máximo – Fu molto forte la sua attenzione e la sua devozione durante l’omelia di Giovanni Paolo II – Non ho dubbi che in qualsiasi tipo di transizione vescovi e sacerdoti avranno un ruolo di giustizia.

Cardinale Rodriguez Maradiaga, lei ha incontrato più volte Fidel Castro?

«In effetti, come presidente della Conferenza episcopale dell’America Latina, ho avuto diverse occasioni di incontrare Fidel Castro prima che Giovanni Paolo II visitasse Cuba. Tempo dopo, anche per una riunione della Chiesa d’ America. Una volta mi invitò anche a cena».

E che impressione ne ha avuto?

«Di una persona di grande intelligenza e conoscenza della geopolitica mondiale e anche dei meccanismi del sinodo americano».

Fidel è uomo attento alla religione?

«Durante l’ Eucaristia celebrata all’Avana da Giovanni Paolo II mi diede l’impressione di seguire con molta attenzione e forte devozione non solo la parte liturgica, ma anche l’omelia del Papa.

Soprattutto mi impressionò l’appoggio di solidarietà con una Scuola di medicina alla quale poterono accedere centinaia di giovani honduregni poveri che furono avviati così a una carriera altrimenti per loro impossibile.

E parliamo anche del lavoro evangelizzatore di quei sacerdoti che lavorano a Cuba, e che desiderano non avere ostacoli in qualità di missionari cattolici nell’isola».

È vero che in un’ occasione con lei ha parlato di fede?

«L’ultima volta che ho visitato l’ isola nel 2008 volevo parlargli di temi come la fede e la conversione, ma non ebbi la possibilità di vederlo a causa della sua salute fragile».

Il Papa affronta un viaggio importante in luoghi che lei, honduregno, arcivescovo di Tegucigalpa, conosce molto bene. Quali sono secondo lei i risultati che possono emergere, non solo per Messico e Cuba, ma per l’ intera regione?

«L’ America Latina è un continente di grande fede e venerazione al Santo padre. Aspettavamo da tanto tempo questa visita, e poi il Messico e il Paese più cattolico dell’America Latina.

Questo viaggio è un momento simbolico che senza alcun dubbio produrrà molti frutti in tutti i nostri Paesi. Peccato che a causa della sua salute non possa visitare altri Paesi».

Sono ben note le sue battaglie contro la droga e la corruzione. Qual è la sua ricetta per sconfiggere una piaga che nella regione centro e sud americana è molto forte?

«Questo è un male che si e diffuso in molte zone e che ha causato un danno molto grande specialmente alla gioventù. Il denaro facile tenta e conduce alla perdita del rispetto della vita.

Da qui gli indici elevati di violenza e morte crescono piuttosto che diminuire. A mio giudizio solo confiscando i beni di questi trafficanti di morte e soprattutto congelando i loro conti bancari si può pensare di controllare il fenomeno».

La Chiesa a Cuba è un fondamentale elemento di rapporto fra le autorità locali e il popolo. È per lei immaginabile che un domani, alla fine dell’esperienza dei Castro al potere, la Chiesa cubana possa aiutare la transizione verso un nuovo tipo di governo?

«Già si è raggiunta una comunicazione migliore tra le autorità politiche e la gerarchia cattolica. Non ho dubbi che in qualsiasi tipo di transizione, vescovi e sacerdoti dovranno sviluppare un lavoro di riconciliazione e giustizia».

Quale è il suo ricordo personale della visita di Giovanni Paolo II all’ Avana nel 1998?

«Per prima cosa che la fede cattolica, nonostante le tante difficoltà che la Chiesa ha vissuto per 40 anni, era viva e fiorente. Che il Papa fu molto forte e chiamò le cose con il loro nome sempre con molto rispetto. Non ho mai dimenticato le parole che valgono tuttora: “Cuba si apra al mondo e il mondo si apra a Cuba”».