Sotto la pioggia battente di Roma, in una Piazza San Pietro deserta che venerdì pareva irreale, accanto al Papa per il suo discorso ( toccante, rileggetelo) con la benedizione Urbi et Orbi contro l’emergenza virus, c’era un solo uomo.

Un passo indietro al Pontefice, alto, dinoccolato, solo in apparenza con l’aria svagata, in realtà attentissimo e concentrato. Quell’uomo, il solo ammesso al cospetto del Pontefice di Santa Romana Chiesa, è il genovese Guido Marini, monsignore, Maestro delle cerimonie liturgiche pontificie.

Il contrasto fra i due, nelle immagini in diretta tv viste in tutto il mondo, non poteva essere più forte.

Francesco con il suo abito bianco, in piedi, davanti al leggio. Marini vestito di nero, seduto sotto al baldacchino, due metri dietro al Santo Padre, ma ben pronto a balzargli vicino – come da prescrizioni interne – e a sostenerlo – già lo fece con Joseph Ratzinger malfermo – qualora Mario Jorge Bergoglio dovesse averne occorrenza, vista la sua camminata larga.

Non ce n’è stato bisogno. Il Papa è stanco, a 83 anni i segni della fatica sono evidenti quando lo si guarda in volto da vicino. Ma la tempra dell’argentino con il sangue che viene dalla Liguria Alta non lo ha smentito neppure in questa occasione.

A decine di milioni si sono però chiesti chi fosse il solo prelato ammesso alla sua presenza, in una piazza sgombra e desolata e buia come mai il colonnato del Bernini aveva mostrato.

Guido Marini, 55 anni, è nato a Genova e dal 2007 ha l’incarico di presiedere la Liturgia, passione per lui diventata quasi un’arte per la quale fu enormemente apprezzato da Benedetto XVI, uomo attentissimo alla tradizione.

Eppure don Guido, che a Genova ha mantenuto amiche e amici, è persona riservatissima ma dalle tante sfaccettature.

Le sue compagne di scuola al Liceo classico ricordano ancora la sua inclinazione artistica. E lo rivedono imitare le mosse di John Travolta al tempo di Saturday night fever.

La chiamata al sacerdozio, però, fu più forte. Dopo aver frequentato il seminario ottenne il baccellierato in Teologia, divenne presbitero, a Roma prese il dottorato all’Università Lateranense e poi la laurea in Psicologia della Comunicazione all’Università Salesiana ( non è un vezzo quando si dice che chi sta in Vaticano ha come minimo due lauree).

Ma prima di spiccare definitivamente il volo verso la Santa Sede, a Genova fu segretario degli arcivescovi Canestri e Tettamanzi, quindi collaboratore dei cardinali Bertone e Bagnasco.

Fu Marini che, all’ultimo Conclave, pronunciò l’Extra omnes, il “fuori tutti” sigillando le porte per la decisione dei cardinali posti sotto le volte della Cappella Sistina.

La leggenda vaticana narra che quando a Bergoglio, eletto il 13 marzo 2013, monsignor Marini allungò la mozzetta di velluto rosso bordata di ermellino con la croce d’oro, Francesco la respinse replicando: ” Questa la mette lei”.

Marini apparve imperturbabile, al balcone, a fianco del Papa nuovo, durante il discorso del memorabile: ” Buona sera”. I primi tempi però non furono facili.

A lungo si pensò che il Pontefice stesse per sostituirlo, considerandolo forse un esponente della vecchia guardia.

Ma il Papa gesuita, come fece con l’altro grande genovese, il cardinale Angelo Bagnasco, invece lo soppesò e decise di mantenerlo nell’incarico. Che gli ha poi rinnovato: per altri 5 anni.

(28 marzo 2020)