Lo strappo è traumatico. Tanto più se arriva da un diplomatico, cioè da una persona abituata già a esprimersi in modo cauto e felpato. Messa all’interno della Segreteria di Stato vaticana, tra stucchi, silenzi e poltrone piene di ovatta, la combinazione raggiungeva il suo effetto più alto.
Questo era Angelo Becciu: il più fine, informato e attento diplomatico all’interno della Santa Sede. Un uomo piccolo di statura, ma di altissimo quoziente intellettuale, come del resto molti di quelli che lavorano in Vaticano.
Menti finissime. Becciu, in più, sapeva vedere lontano, possedeva antenne speciali ed era dotato di agganci formidabili, a cui aggiungeva le notizie riservate che gli arrivavano copiose dalla Gendarmeria pontificia.
Un uomo santo e sardo, dunque roccioso, però capace di ascoltare, di comprendere e di perdonare. Era, fino a pochi anni fa, il potentissimo Sostituto, cioè il numero due della Segreteria di Stato, successore in quell’incarico di un uomo come Giovambattista Montini, il futuro Paolo VI.
Incarico che ha tenuto da semplice Monsignore, venendo infine creato cardinale dopo un lungo percorso in anni durissimi per la Chiesa, come quelli del passaggio clamoroso da Benedetto a Francesco.
Becciu, 72 anni, non è solo l’uomo del palazzo di Londra, una delle ragioni principali che si sospettano dietro la sua mossa dirompente: dimettersi non solo da capo del dicastero delle Cause dei Santi, ma addirittura perdere i diritti di cardinalato. Era, soprattutto, l’uomo che conosceva i segreti di Vatileaks e dei Corvi.
Il Vaticano, all’inizio del caso della pubblicazione di carte segrete provenienti dall’ armadio di monsignor Georg Gaenswein, il segretario personale di Joseph Ratzinger, trafugate dal maggiordomo, appariva disorientato.
Non sapeva bene da che parte coprire la falla, visto che i documenti cominciavano a fuoriuscire da più fonti. Benedetto XVI e il cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato braccio destro del Papa, misero così in campo Becciu.
Con i suoi tentacoli sapienti, il piccolo monsignore sardo cominciò a individuare i punti di uscita, i responsabili della trama e i protagonisti coinvolti. Aveva una capacità ferina di andare sull’obiettivo.
Ma, da grande maestro della diplomazia, sapeva come dire di essere arrivato a capire tutto, però senza ferire e urtare il suo interlocutore. Nelle mail che usava, ti rivelava di avere individuato i nomi dei Corvi, i loro incarichi all’interno delle Mura Leonine, e persino il sesso.
Sapeva perciò, e te lo scriveva chiaramente, se erano uomini oppure donne. Aveva capito ogni cosa, prima degli altri. E prima che il Tribunale vaticano avviasse i processi e le sentenze.
Lo aveva aiutato, in questo, la sua lunga esperienza di diplomatico, passata all’inizio tutta all’estero. Le nunziature apostoliche erano il suo mondo: prima la Repubblica Centrafricana (dove Jorge Mario Bergoglio andrà in un viaggio intenso e pericoloso a Banguì), la Nuova Zelanda, la Liberia, il Regno Unito, la Francia, gli Stati Uniti.
Ma a segnarlo saranno soprattutto gli incarichi successivi, in Angola e poi a Cuba. Con i Paesi comunisti il diplomatico vaticano Becciu darò il meglio di sé, sfoderando un dialogo inatteso e sorprendente che porterà alle visite apostoliche di Benedetto XVI e di Francesco all’Avana, da Fidel Castro, con il quale ebbe ottimi rapporti.
Il successo di quelle tappe papali lo dimostrò, nella preparazione che il roccioso monsignore fece con enorme cura.
In quei viaggi, scendendo dalla scaletta dell’aereo papale, unico fra i maggiorenti pontifici indossava gli occhiali neri, si metteva in fondo alla fila del seguito vaticano, e osservava. Ogni cosa. Con grande attenzione.
(25 settembre 2020)