Il nuovo orizzonte del Sultano? La conquista dei mari. “Siamo orgogliosi di proteggere il nostro vessillo glorioso in tutte le acque. Siamo pronti a proteggere ogni fascia delle nostre 462 migliaia di metri quadrati di patria blu con forza”. Ecco la parola chiave: patria blu.
L’immagine colorata che, tratta dalle parole di Recep Tayyip Erdogan, è la nuova dottrina politica della Turchia. Va in soffitta il concetto di “Profondità strategica” inventato dall’ex premier decaduto, ed ex consigliere del presidente, Ahmet Davutoglu. Sale la teoria emergente della “Patria blu”.
E con lei la stella di un ammiraglio a riposo, eppure presentissimo sui media: Cem Gurdeniz. E’ lui oggi l’alfiere dell’idea di politica estera che ha il capo dello Stato, a difesa delle acque territoriali, ma soprattutto a conquista di nuovi orizzonti marittimi: oltre Cipro, verso Malta, vicino alle coste africane della Libia.
La Turchia neo ottomana del presidente Erdogan, in grande espansione sul fronte esterno, non ha bisogno di affermarsi solo a terra affondando gli stivali dei soldati nelle zolle curde di Iraq e Siria. Ma, con l’obiettivo (o la scusa) di difendersi, aggredisce i mari. E si prepara a farlo oltre i limiti internazionali.
Nella sua visione l’ammiraglio Gurdeniz, autore prolifico di saggi e articoli, con cinque anni di carcere alle spalle fra il 2011 e il 2015 negli scontri ciclici fra autorità e militari, gli interessi del Paese trovano ispirazione nella controffensiva internazionale, in chiave antiamericana e antieuropea.
Quella che in una sua pagina definisce “il fronte atlantico”. Punta di lancia di questo schieramento da combattere è, nella sua ottica, la Grecia. Da dove gli avversari indirizzerebbero i loro attacchi verso la Turchia limitandone le potenzialità marittime.
Ecco allora che la dottrina della “Patria blu”, a difesa delle acque e, contemporaneamente, alla conquista di nuovi obiettivi, si sperimenta su un triplice fronte: il Mediterraneo, l’Egeo e le proiezioni sull’Oceano Indiano a partire dalla Somalia, come ci ha fatto intuire il caso della liberazione della cooperante Silvia Romano avvenuta proprio con l’aiuto dell’intelligence turca in Africa).
“La Grecia – è scritto nell’agenda dell’ammiraglio – può vivere dentro il sogno del proprio mondo passato e delle sue fantasie senza fine. Però non le imponga alla sovranità della Turchia nell’Egeo, nel Mediterraneo e nel Mar Nero. Sappia quale è il suo posto”.
Con un simile tono, e cambio di prospettiva, il concetto di “Profondità strategica” in voga nei primi dieci anni del Millennio va in soffitta.
A lungo tempo era stato il cardine della politica estera di Ankara, ma il suo fondamento centrale (“zero problemi con i vicini”) ha dimostrato tutta la sua fallibilità, con un Paese oggi orgogliosamente fiero dei tanti avversari intorno, e con più fronti aperti, dalla Siria alla Libia, dalla guerra con il Pkk al confronto con l’Unione Europea sui migranti.
“Patria blu” è allora il nuovo verbo. Il nome di una imponente esercitazione militare. E del giornale del collegio di guerra della Marina. Non per tutti però c’è spazio.
L’altro grande propulsore dell’idea, l’ammiraglio Cihat Yayci, considerato uno stratega emergente per la sua visione militare assieme al collega Gurdeniz, si è scontrato con il ministro della Difesa, Hulusi Akar, ex generale a quattro stelle e già capo di Stato maggiore, dimettendosi.
Una battaglia feroce, al più alto livello politico e militare. Yayci si è trovato all’improvviso come degradato, inviato a svolgere un incarico di rango inferiore. Ha rifiutato perciò il ruolo assegnatogli sbattendo la porta con una lettera polemica parlando di complotto.
La sua rabbia contro i vertici è evidente. E’ probabile che la sua linea interventista, ora che c’è da passare a sfruttare i giacimenti di gas e petrolio nelle acque del Mediterraneo, sia di imbarazzo.
Lo scontro con il ministro Akar significa però inimicarsi il capo dello Stato. E Erdogan non è uomo da sfidare.
Eppure era stato proprio Yayci l’inventore del controverso, ma innovativo Fetòmetro, da Fetò (come i turchi chiamano Fethullah Gulen, l’imam accusato di avere organizzato il golpe fallito del 2016).
Cioè un algoritmo capace di svelare i golpisti: un programma composto da 70 criteri, 12 dei quali non sono stati resi noti “perché si teme una reazione negativa del pubblico”, ha fatto sapere un ufficiale della Marina, con valutazioni personali come l’essersi separato dalla famiglia prima del tentato colpo di Stato, parlare lingue straniere o, ancora, avere aperto un conto presso la Asya Bank, visto come l’istituto bancario dei golpisti.
Il programma ha controllato fino a oggi qualcosa come 800 mila militari, calcolando solo quelli della Marina, e i golpisti scoperti fra questi sono stati 5 mila.
Lo scontro in atto è colossale nelle forze armate turche, tornate pienamente protagoniste nel Paese. E, a sorpresa, a solcare i mari.
Il memorandum d’intesa firmato alla fine del 2019 assieme alla Libia, sui confini marittimi con la Turchia nelle acque del Mediterraneo orientale, è il punto di partenza della nuova teoria. Pronta adesso a prendere il largo.
Segnando, fatto non meno significativo, un ribaltamento delle gerarchie militari turche. Dove al primo posto, da sempre, c’è l’esercito di terra. Adesso, però, sono gli ammiragli a dettare la direzione. Con la “Patria blu” nuovo credo del Sultano.
(3 luglio 2020)